Cass. civ., sez. III, 17-12-2009, n. 26505.
La sofferenza psichica di particolare intensità subìta da chi abbia atteso lucidamente in agonia la fine della propria vita costituisce danno morale risarcibile anche quando tale sofferenza risulti di breve durata e perciò tale da non cagionare danno biologico; il diritto al risarcimento di tale danno si trasmette agli eredi e, per la relativa liquidazione, il giudice di merito deve attentamente valutare la rilevanza del lasso di tempo intercorrente tra la lesione e l’avvenuta morte.
Cass. civ., sez. III, 28-11-2008, n. 28423.
In caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo, la sofferenza patita dalla vittima durante l’agonia è autonomamente risarcibile non come danno biologico, ma come danno morale iure haereditatis, a condizione però che la vittima sia stata in condizione di percepire il proprio stato, mentre va esclusa anche la risarcibilità del danno morale quando all’evento lesivo sia conseguito immediatamente lo stato di coma e la vittima non sia rimasta lucida nella fase che precede il decesso (nella fattispecie a causa di un grave incidente stradale la vittima aveva perso la vita quaranta ore dopo il sinistro e non era stata fornita la prova del suo stato di lucidità nella breve frazione temporale di sopravvivenza).
Cass., sez. III, 16-05-2003, n. 7632.
Il danno biologico terminale, ovvero il danno subìto dal de cuius nell’intervallo di tempo tra la lesione del bene salute e il sopraggiungere della morte conseguente a tale lesione rientra nel danno da inabilità temporanea, la cui quantificazione equitativa va operata però tenendo conto delle caratteristiche peculiari di questo pregiudizio, consistenti nel fatto che si tratta di un danno alla salute che, sebbene temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, sia che si applichi il criterio di liquidazione equitativa «puro» sia che si applichi il criterio di liquidazione tabellare, in quanto entrambi questi criteri di liquidazione sono legittimamente utilizzabili, purché vengano dal giudice adeguatamente «personalizzati», ovvero adeguati al caso concreto.
Cass., sez. III, 16-05-2003, n. 7632.
In tema di risarcibilità del danno biologico, nel caso in cui intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni subite dalla vittima del danno e la morte causata dalle stesse, è configurabile un danno biologico risarcibile subìto dal danneggiato, ed il diritto del danneggiato a conseguire il risarcimento è trasmissibile agli eredi, che potranno agire in giudizio nei confronti del danneggiante iure hereditatis; in questo caso, la misura del danno dovrà essere determinata in relazione alla effettiva menomazione dell’integrità psicofisica subìta dal soggetto per il periodo di tempo tra il verificarsi delle lesioni e il sopraggiungere della morte, per cui essa sarà correlata all’inabilità temporanea.
Cass., sez. III, 18-04-2003, n. 6291.
In caso di illecito lesivo dell’integrità psico-fisica della persona, la riduzione della capacità lavorativa generica, quale potenziale attitudine all’attività lavorativa da parte di un soggetto che non svolge attività produttive di reddito, né è in procinto presumibilmente di svolgerla, è risarcibile quale danno biologico, che ricomprende tutti gli effetti negativi del fatto lesivo che incidono sul bene della salute in sé considerato; qualora, invece, a detta riduzione della capacità lavorativa generica si associ una riduzione della capacità lavorativa specifica che, a sua volta, dia luogo ad una riduzione della capacità di guadagno, detta diminuzione della produzione di reddito integra un danno patrimoniale; ne consegue che non può farsi discendere in modo automatico dall’invalidità permanente la presunzione del danno da lucro cessante, derivando esso solo da quella invalidità che abbia prodotto una riduzione della capacità lavorativa specifica; detto danno patrimoniale deve essere accertato in concreto attraverso la dimostrazione che il soggetto leso svolgesse - o presumibilmente in futuro avrebbe svolto - un’attività lavorativa produttiva di reddito, ed inoltre attraverso la prova della mancanza di persistenza, dopo l’infortunio, di una capacità generica di attendere ad altri lavori, confacenti alle attitudini e condizioni personali ed ambientali dell’infortunato, ed altrimenti idonei alla produzione di altre fonti di reddito, in luogo di quelle perse o ridotte; la prova del danno grava sul soggetto che chiede il risarcimento, e può essere anche presuntiva, purché sia certa la riduzione della capacità di guadagno.
Cass., sez. III, 07-03-2003, n. 3414.
Il danno biologico può avere ad oggetto (non diversamente dal danno patrimoniale) tanto l’invalidità temporanea (allorché la malattia risulti ancora in atto), quanto l’inabilità permanente (qualora, per converso, la malattia sia guarita, ma con postumi permanenti, residuati alla lesione), con la conseguenza che il giudice di merito, nel provvedere alla sua liquidazione, del tutto legittimamente specifica se esso si riferisca all’inabilità temporanea ovvero a quella permanente, atteso che tale, separata liquidazione, nel concorso di entrambe le suddette ipotesi, non costituisce una (illegittima) duplicazione di voci di danno ontologicamente unitarie, ma rappresenta soltanto una liquidazione frazionata in relazione a due eventuali momenti diversi e successivi tra loro.
Cass., sez. III, 24-02-2003, n. 2775.
In materia di responsabilità civile, il danno biologico da invalidità permanente consiste nelle ripercussioni negative (di carattere non patrimoniale e diverse dalla mera sofferenza psichica della permanente lesione dell’integrità psico-fisica del soggetto leso per l’intera durata della sua vita residua, normalmente presunta, ma che è invece nota se sopraggiunga la morte; ne consegue che la morte del soggetto offeso, anche se avvenuta dopo un apprezzabile intervallo di tempo dalle lesioni subìte, non consente di ritenere maturato a suo favore un diritto di credito da danno biologico «consolidato» (da liquidarsi «come se» fosse sopravvissuto alle lesioni per il tempo corrispondente alla sua ordinaria speranza di vita), sicché il credito trasmissibile agli eredi è esclusivamente quello da danno biologico subìto per l’effettiva durata della sopravvivenza.
Cass., sez. III, 10-02-2003, n. 1937.
All’interno della nozione di danno biologico rientrano tutte le conseguenze pregiudizievoli che dalla lesione della salute derivano alla complessiva qualità della vita del soggetto offeso, rimanendone esclusi solamente il danno patrimoniale in senso stretto ed il danno morale subiettivo (facendo applicazione del suddetto principio di diritto, la suprema corte ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva ritenuto ricompresi nel danno biologico tutti i disagi futuri subìti da un soggetto danneggiato in un incidente stradale e dipendenti dal trauma sofferto, quali cure e spostamenti).
Cass., sez. III, 17-11-1999, n. 12741.
Il danno alla vita di relazione, che si concretizza nell’impossibilità o nella difficoltà, per chi abbia subito menomazioni fisiche, di reintegrarsi nei rapporti sociali e di mantenerli ad un livello normale, rientra, quando non abbia effetti di ordine patrimoniale, nel danno biologico, costituito dalla menomazione dell’integrità psico-fisica della persona in sé considerata e tutelata dall’art. 32 Cost. e va risarcito indipendentemente dalle conseguenze patrimoniali che ne siano derivate (danno-evento, diverso dal danno patrimoniale e dal danno morale, che sono danni-conseguenze).
Corte Costituzionale 14 luglio 1986 n. 184
Il criterio da adottare nella determinazione e liquidazione del danno biologico dovrà rispondere, per un corretto giudizio, da un lato ad un’uniformità pecuniaria di base (lo stesso tipo di lesione non può essere valutato in maniera del tutto diversa da soggetto a soggetto) e dall’altro ad elasticità e flessibilità, al fine di adeguare la liquidazione all’effettiva incidenza dell’accertata menomazione).
Cass., sez. lav., 23-02-2000, n. 2037.
La liquidazione del danno alla salute può essere effettuata dal giudice con ricorso al metodo equitativo, utilizzando come valido criterio di quantificazione del risarcimento quello che assume a parametro il c.d. punto di invalidità, determinato sulla base di un valore medio (calcolato sulla media dei precedenti giudiziari concernenti invalidità inferiori al dieci per cento), che può essere aumentato nei singoli casi in misura tale da consentire l’adeguamento all’incidenza della menomazione sulla vita specifica del danneggiato e alla entità delle sofferenze da esso patite (c.d. danno personalizzato); tuttavia perché la valutazione discrezionale propria del metodo equitativo non si risolva in un quantificazione arbitraria, è necessario che il giudice di merito fornisca congrue ragioni del procedimento logico attraverso il quale è pervenuto a giudicare proporzionata una certa misura del risarcimento, indicando gli elementi a tal fine valorizzati (nella specie, la suprema corte ha annullato una sentenza che, limitandosi a definire come equo il parametro utilizzato, aveva liquidato sulla base di tre milioni di lire a punto il danno biologico, senza indicare l’entità delle lesioni sofferte dal danneggiato, il grado di invalidità derivante da dette infermità nonché l’impatto che tali infermità hanno avuto sulla «persona» del danneggiato).