La definizione del danno biologico nella sua comune accezione è quella di menomazione dell’integrità psicofisica della persona in sé e per sé considerata, causata dal fatto illecito del terzo.
L’origine di tale nozione va ricollegata alla fondamentale pronunzia della Corte costituzionale del 14 luglio 1986, n. 184 che ridefinì il quadro complessivo del risarcimento per danno fisico alla persona, mettendo a punto le nozioni di danno biologico. La Corte affermò che: a) il danno biologico, colpendo la salute della persona, «è sempre presente» e «sempre lesivo, senza bisogno di alcuna prova del bene giuridico salute»: il primo pregiudizio che deriva dall’illecito è la lesione del diritto alla salute (il c.d. danno evento); b) il danno patrimoniale e il danno morale, concettualmente divisi dal danno biologico, devono definirsi danni conseguenza, in quanto risarcibili solo se dalla lesione personale scaturiscono danni patrimoniali.
La definizione è stata recentemente messa a punto con le fondamentali pronunzie della Corte di Cassazione del 2003 (sentenze 8827 e 8828).
Tale definizione ricomprende sia un aspetto statico (violazione dell’integrità psicofisica) sia un aspetto dinamico (riflessi negativi sul vivere quotidiano) del danno biologico.
Danno biologico e danno alla salute, malgrado l’uso sovente indifferenziato delle due espressioni, non sono sinonimi: il danno biologico esprime un concetto medico-legale, quale è quello della menomazione somato-psichica o lesione personale, mentre il danno alla salute esprime un concetto giuridico e cioè la violazione del diritto menzionato dall’art. 32 della Costituzione.
Ne deriva che qualsiasi lesione, fisica o psichica, che sia arrecata all’uomo costituisce sempre danno biologico risarcibile, purché abbia un minimo di apprezzabilità giuridica; per converso, non ricorre il danno biologico qualora non si sia verificata alcuna lesione fisica o psichica alla persona.
Considerando i riflessi negativi della lesione nella vita quotidiana del danneggiato, e quindi, i possibili contenuti del danno biologico, in aggiunta all’inevitabile mutamento (inteso in senso peggiorativo) dei caratteri morfologici della persona, la riduzione della possibilità di utilizzare il proprio corpo è il contenuto di maggior rilievo del danno biologico.
Non meno importante è la riduzione, connessa alla menomazione dell’efficienza psicofisica della c.d. capacità sociale, cioè dell’attitudine della persona ad affermarsi nel consorzio umano, indipendentemente dall’attività lavorativa; questo aspetto del danno concerne tutta l’attività extralavorativa dell’uomo, quale si realizza mediante i rapporti familiari, quelli sentimentali e sessuali, e quelli che si estrinsecano nei diversi settori della cultura, della politica, dell’arte, dello sport e degli svaghi in genere; si ritiene, pertanto, ormai assorbito nel danno biologico il danno alla vita di relazione con le sue sottospecie del danno estetico e del danno sessuale.
Altro contenuto del danno biologico è la riduzione della capacità lavorativa generica, ossia dell’attitudine dell’uomo al lavoro in generale che, essendo un aspetto dell’efficienza psicofisica, viene risarcita come danno biologico. Quando poi la lesione determina una riduzione della capacità lavorativa specifica, non è tale riduzione che viene risarcita come danno patrimoniale ma il conseguente mancato guadagno.
Il pregiudizio per la perdita di una astratta chance lavorativa (o lesione del diritto alla libertà di scelta del lavoro) è una arbitraria limitazione della personalità quale si manifesta nella vita concreta e, quindi, trova il suo compenso come componente del danno biologico.
Quanto alla maggior fatica che, per effetto delle menomazioni subite, il danneggiato deve sopportare per eseguire il lavoro cui è dedito o per conseguire il medesimo guadagno del quale godeva prima dell’illecito, il pregiudizio, in quanto afferente all’aspetto dinamico di tale genus, deve essere risarcito nell’ambito del danno biologico.
Riguardo alla differenza concettuale tra danno biologico e danno patrimoniale, si rileva come il primo sia da considerarsi danno-evento consistente nella violazione dell’integrità psicofisica della persona, cioè nella lesione personale in sé e per sé considerata e come, invece, il secondo sia da considerarsi danno-conseguenza, quindi, effetto della lesione, consistente in una diminuzione che si verifica nel patrimonio del danneggiato; se la lesione all’integrità psicofisica non incide negativamente su un’effettiva capacità lavorativa (c.d. specifica), essa rientra pienamente ed esclusivamente tra i contenuti del danno alla salute, dovendo pertanto essere risarcita in via equitativa; in caso contrario, se la lesione incide su un’attività lavorativa in corso o che presumibilmente si svolgerà in futuro, viene in rilievo una contrazione della capacità del danneggiato a produrre reddito e, dunque, un danno emergente di natura prettamente reddituale.
Danno biologico "terminale"
Un ultimo accenno riguarda il cd. danno biologico “terminale”, ovvero quello che intercorre tra la lesione ed il decesso del danneggiato.
Esso costituisce un danno diretto del defunto, condizionato alla sussistenza di un apprezzabile lasso temporale tra le lesioni e la morte e trasmissibile agli eredi per successione, e viene normalmente considerato dalla giurisprudenza nell’ambito dell’invalidità permanente, seppure con peculiarità di liquidazione “personalizzata”.